Le prime notizie sulla pianta di fico (Ficus carica) risalgono ad epoca molto remota. Già nella piramide di Gizah – eretta nel periodo compreso tra il 4.000 e il 1.500 a.C. – è stata rappresentata la raccolta dei fichi. Gli antichi egizi hanno lasciato nei propri sarcofagi le descrizioni delle tecniche di salatura ed essiccamento al sole, nonché dei metodi da seguire nella costruzione di appositi edifici per conservarli a lungo.
In Grecia, dove il fico era chiamato “sykon”, la produzione era talmente attiva che fu necessario costituire un’apposita classe dirigente per controllarne il commercio, denominata siconfanti. La fama dei fichi greci era tale da trovarne le tracce perfino nei banchetti dei re dell’Asia minore. Si racconta che Serse, dopo averli gustati, dichiarasse guerra agli Ateniesi promettendo a se stesso di non mangiarne più fino a quando non si fosse impadronito del paese che li produceva.
Per i romani tre erano le piante sacre: l’ulivo, la vite ed il fico. In alcune delle sue opere Ovidio racconta che era tradizione offrire ad amici e parenti frutti di fico e vasi di miele all’inizio dell’inverno, come augurio affinché il nuovo anno iniziasse con dolcezza.
La pianta di fico giunse in Calabria in epoca incerta, probabilmente al tempo della civiltà greco-romana per opera dei viaggiatori che la impiegavano come merce di baratto. Da allora in poi la sua coltivazione si è insediata velocemente, in particolare nella provincia di Cosenza, grazie ad una situazione pedoclimatica ideale.
La pianta del fico è abbastanza diffusa in tutte le regioni dell’Italia meridionale. Tuttavia ciò che differenzia la produzione cosentina dalle altre è la presenza di un’attività economica fortemente legata alla trasformazione del prodotto, ed in particolare ad una produzione di fichi essiccati con caratteristiche peculiari che dura da oltre 500 anni.
Infatti, si hanno notizie del commercio dei fichi secchi in Calabria a partire dal ‘500 quando nell’opera “Descrittione di tutta Italia” (Venezia 1550), lo storico bolognese Leandro Alberti, soffermandosi sui luoghi visitati, cita, anche se sommariamente, i fichi come una tra le colture agricole più diffuse della provincia di Cosenza.
Tra il ‘700 e l’800 svariati testi storici esaltano i pregi organolettici del prodotto e sottolineano l’importanza dell’attività a livello economico per via delle esportazioni nel resto d’Italia e all’estero.
Con i primi del ‘900 nascono aziende capaci di lavorare e vendere, i propri prodotti valorizzando le specificità della provenienza di origine. Nel 1934, la rivista “L’Italia Agricola” li definisce: “Una risorsa naturale esclusivamente cosentina… apprezzatissimi sia in Italia che all’estero”.
E da allora la produzione e commercializzazione prende sempre più piede. Infatti, nel 1915 la produzione di fichi secchi della provincia di Cosenza era pari a 70-80 mila quintali, coprendo quasi la metà della produzione totale nazionale che si aggirava sui 185 mila quintali.
Successivamente il dato continua ad aumentare fino agli anni 70, quando, con l’abbandono delle campagne, la tendenza si inverte e l’essiccazione e trasformazione dei fichi progressivamente si limita a mero consumo familiare.
È proprio per invertire questa tendenza e riportare il comparto agli antichi fasti, che nel 2003 il consorzio avvia l’iter per il riconoscimento dell’origine protetta ottenuto nel 2011.